
Dopo 11 ore di autobus che passo dormendo sul sedile reclinabile n24 della corriera semideluxe della Rajastan trasporti arrivo a Jaipur. Il realtà il mio biglietto era per il sedile 15 ma una ragazza indiana all’inizio del viaggio mi chiede di cambiare posto perchè non si sente a suo agio di fianco al passengero del sedile 25: un uomo con baffo e cappellino sui 30 anni, in effetti con una faccia da maniaco introverso.
A Jaipur appena sceso dalla corriera vengo subito ricevuto dai tassisti di tuk tuk locali. E’ qui che conosco Khan. Nei 50 metri che separano la corriera dall’ufficio deposito bagagli riesce a dirmi tutti i nomi e le distanze delle 15 attrazioni principali di Jaipur, che dovrei prima fare la colazione, che in effetti sulla strada ci sono diverse bancarelle e che lui fa dei prezzi locali e non da turisti.
Io provo a spiegare a Khan che se viaggio da solo è perchè mi fa piacere avere tempo di pensare per conto mio e che le 7.05 del mattino sono un momento ideale per stare in silenzio.
Khn è ostinato più degli altri e non mi lascia solo fino all’uscita della stazione ma in qualche modo riesco a convincerlo del fatto che non prenderò nessun tuk-tuk poichè andrò a piedi e se per caso necessitassi di un mezzo di trasporto a motore lui avrebbe l’esclusiva. Ho notato che un modo per concludere questo tipo di situazioni sta nel proporre di bersi un bicchiere di té. Così faccio.
Nonostante la piccola dose di tè che ci viene servita, Khan riesce a coinvolgermi in una conversazione per più di mezzora. La dinamica e i temi seguono lo svolgimento classico delle conversazioni che sto avendo qui: luogo di provenienza, una volta saputo si fa riferimento a Sonia Gandhi che è la burattinaia dell’ex partito di maggioranza. Poi c’è la sezione turistico-filosofica con le classiche domande “da dove arrivi?” “Dove stai andando?” ” E’ la prima volta che vieni in India?”. Di solito si passa poi al personale e Khan mi chiede se sono sposato e se almeno ho una fidanzata. Stranamente lui mi dice di non essere sposato e di avere molte fidanzate e l’ultima, una israeliana, lo vuole anche sposare.
Questo stile di vita “sregolato” (almeno per i canoni indiani) se lo può permettere perchè tutta la sua famiglia si trova nel sud dell’India, dove anche lui è nato, e quindi non può sapere delle sue sregolatezze.Comunque l’anno prossimo Khan vuole sposarsi e ritornare nel suo paese nativo mettendo la testa a posto.
Ho notato che se una conversazione con un uomo indiano dura più di qualche minuto verrà sicuramente indirizzata sul Grande Tabù: il s***o. Kanh non è diverso e quindi accenna, senza dettagli per fortuna, alle doti amorose dell’israeliana e delle presunte altre fidanzate straniere.
A quel punto, visto anche che il mio tè è finito da tempo e che ora sono uniti alla conversazione anche due poliziotti che andranno a fare il servizio sicurezza ad una manifestazione indetta dagli avvocati (?!? solo in india gli avvocati fanno manifestazioni in strada), riesco a liberarmi di Khan e a procedere verso il centro cittadino.
Sono ad un negozio di telefoni cercando di cambiare la scheda che ho comprato in Jammu-Kashmir e, ho scoperto in seguito, essere valida solo in quello stato. Dopo un qualche minuto arriva Khrisna. La classica conversazione inizia: mi chiede di-dove-sono-da-dove-sto-arrivando-dove-sto-andando. Quando mi aspetto il resto delle domande Khrisna mi dice che suo cugino vive da anni in Italia e che vuole farmi vedere le sue foto. Andiamo a pochi metri di distanza nel suo negozio-stanza che misura non più di 6 m2. Khrisna allora segue il copione del venditore: prima parla di suo cugino facendomi vedere le sue foto davanti a diversi spigoli di palazzi di città italiane. Forse per la prima volta capisco il senso di quelle strane foto che molta gente fa in cui ci si mette in posa davanti a case, palazzi, angoli, entrate…serviranno poi come testimonianza del raggiungimento di luoghi anomali ed esotici. La prova di queste avventure sarà data dalla presenza del corrimano di una metro, dall’intarsio di una facciata, dai diversi vestiti portati dal soggetto della foto.
Dopo questa divagazione, Khrisna parte con un timido attacco: comincia a parlare di sè e del suo essere pittore. Mi fa allora vedere le miniature del Rajastan (che mi stanno seguendo dalle valli del Ladakh). Aggiunge che il primo cliente della giornata è quello che determinerà l’esito lavorativo fino al giorno dopo deduco quindi di non essere un semplice cliente ma colui che può modificare i flussi di energia positiva intorno a me.
Non mostro intenzione verso l’acquisto non perchè le miniature non siano belle ma perchè dopo 3 giorni di corriera la mia mente non è verso l’espressione artistica dell’uomo ma verso pensieri molto più basilari come trovare qualcosa da mangiare e un posto per dormire. Khrisna si irrigidisce un poco e, mentre sto uscendo, mi dice almeno di fare un offerta a Ganesh. Dalla tasta tiro fuori 50 rupie ed esco.
Cammino per la “città rosa” che tanto rosa non lo è più, cercando un telefono. Ne vedo uno in un garage e chiedo di poterlo usare. Un signore mi offre il suo cellulare e alla fine della telefonata non vuole ricevere nessun compenso. Allora gli propongo di bere del tè. Mi fa strada fino ad una casa-tempio a pochi metri di distanza. Il tempio si trova al piano terra della casa. Consiste in una stanza con pavimento in marmo e muri pistrellati fino a 1.2m di altezza. In fondo alla stanza l’altare dedicato a Ganesh è rivestito da specchi tagliati in forma romboidale. Noto una certa somiglianza con i dettagli costruttivi usati da Anthony, un costruttore franco-cino-laotiano con cui ho lavorato a Phnom Penh, negli interni di dubbiosi night club.
Rakashtan mi racconta di essere pittore, musicista, di aver venduto gemme fino a quando i Don locali non gli hanno impedito di farloe di aver fatto molte altre cose. Parla italiano bene visto che amici calabresi sono venuti a trovarlo per anni.Tutto gli è stato possibile grazie al suo atteggiamento positivo e a Ganesh. E’ interessante sentire parlare questi Hindu poichè parlano della religione come di qualcosa che permane le loro vite quotidianamente. Come fosse l’aria che respirano. I rituali, le preghiere servono a mettersi in sintonia con questa aria/energia che sta intorno a noi.
Nella stanza ci sono altre 4-5 persone. Un ex poliziotto vestito di bianco, un paio di persone più giovani di non ben definito ruolo e un ex militare che viene presentato come esperto di lanciarazzi ma che ora fa l’autista per il pulmino di un asilo.
Durante il racconto di Rakashtan e per tutta la mia permanenza nel tempio il gruppetto continua a fumare chilum. Mi dicono che due membri della compagnia sono musicisti così si esibiscono suonando l’armonium e la tabla. Il gruppetto di fumatori si unisce nei cori. La musica che suonano è interessante perchè segue una sequenza ma ci sono ampi margini di movimento. Dopo alcune canzoni e qualche bicchiere di tè decido di salutare e uscire a visitare la città-rosa-che-tanto-rosa-non-è.