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Dintorni di Mundra colony. Lo strano urbanismo sfilacciato fatto di case monofamiliari, prati,mucche e baracche.

Palazzo di Mandvi in cui hanno pure girato del film di bollywood.

Mandvi.  Mucche e spazio urbano, un binomio sempre presente in India.


Mandvi, paese sul mare dove si costruiscono le barche per Dubai.


Legno malesiano riutilizzato ad Hunnarshala per fare pavimenti.

Visita di una scolaresca ad Hunnarshala.

Bhuj la città dei suoni

Bhuj è una piccola cittadina in un angolo dell’India. Solo qualche km di deserto la separa dal Pakistan. La zona è famosa per le popolazioni che ancora, data la posizione decentrata, riescono a vivere mantenendo tradizioni e costumi. A differenza di molte città indiane a Bhuj non si sentono troppo i clacson dei motopirloni ma le giornate sono tutt’altro che quiete. Al mattino si possono sentire le preghiere indù che vengono accompagnate da diabolici macchinare con diverse ruote dentate che riescono, azionando diversi martelletti, a percuotere diversi tamburi e campane. Un pò come avere una tifoseria sudamericana in salotto. Credo che gli abitanti di Bhuj amino molto la musica oppure che ci sia stata di recente un poderosa offerta d’acquisto perchè in molti sembrano in possesso di impianti stereo più adatti a funzioni pubbliche che all’uso domestico. Lato positivo è il fatto che spesso ascoltano musica tradizionale e non robaccia da film bollywoodiano. Più volte al giorno i mussulmani della città non sono da meno e pronunciano il nome di dio a squarcia gola davanti ad un efficace microfono. Stasera si sono uniti anche i molti cani da strada in un ALLAHUUUU. Deduco quindi che gli animali da strada si dividono in questo modo: mucche con la comunità indù e cani con quella mussulmana. Resta da capire con chi si schierino le scimmie (buddisti?!?) e le pecore.

Il secondo giorno mi avvio verso Hunnarshala, la scuola/centro di ricerca dove starò qualche settimana. La loro sede si trova a 3km dal centro lungo la statale che porta verso il mare. Decido di farla a piedi. Dopo qualche centinaio di metri mi accorgo di essere nel mezzo di un’interminabile fila di persone. Alcune camminano in gruppo, alcune scalze, uomini, donne in coloratissimi sari, gruppi di giovani. Uno dei giovani mi rivolge la parola. Iniziamo a parlare e mi dice di essere in pellegrinaggio verso un tempio a 100km di distanza. E’ insieme ai suoi sette cugini e ogni anno si recano da Rajkot fino al tempio. Quattrocento km a piedi per ricevere buona sorte e forza dalla statua della dea. Mi mostra su un poster l’immagine della statua: sotto diversi tessuti rosso porpora appaiono due cerchi che sembrano gli occhi. L’immagine e’ un poi’ inquitante e non so perche’ mi fa venire in mente cugino Itt della famiglia Addams. Gli otto cugini cantano e ballano lungo il cammino. In certi istanti mi ricordano i fratelli Dalton in Lucky Luke. Alla fine del mio percorso ci scambiamo gli indirizzi e le emails, che probabilmente non useremo mai, con una promessa di rivederci, magari l’anno prossimo durante il pellegrinaggio.

L’idea iniziale era di stare 6 settimane ed esplorare un po’ la costruizione in terra cruda. In realta’ le settimane diventano 3 unpo’ a causa del caldo, un po’ a causa della mio umore fin troppo vacanziero e per la voglia di andare in Nepal.

Durante la mia permanenza a Bhuj alloggio con gli studenti del corso di falegnameria e muiratura. Sono 15 ragazzi tra i quindici e i ventanni e provengono tutti dalla regione del Gujarat. Mi ricevono molto gentilmente e si prendono cura di me indicandomi cosa posso o non posso usare e portandomi il cucchiaio quando mi vedono in difficoltà nel mangiare riso con le mani (dopo i lterzo giorno l’uso del cucchiaio diventera’ inutile visto il miglioramente della mia manualita’). Gli studenti passano le giornate a lavorare con ritmi molto rilassati. Nel tempo libero si sdraiano da qualche parte e guardano video sul cellulare.La prima sera la passiamo a leggere un vocabolario inglese hindi testando le reciproche conoscenze linguistiche. Sembrano molto curiosi e forse un pò annoiati nel tempo libero.
La seconda sera andiamo nella vicina Mundra Colony a vedere le danze per navaratri che e’ un festival che dura 9 giorni in cui si balla e digiuna per celebrare la dea Durga ( non provo a spiegare chi sia Durga perche’ entrare nel mondo delle divinita’ hindu’ e’ un’operazione labirintica e pericolosa visto che ci sono 33 milioni di divinita’). Le danze seguono traiettorie circolari, giovani uomini e donne, ben separati, si muovono a ritmo sotto lo sguardo vigile di decine di genitori panzoni che stanno seduti sul lato del piazzale. Uno dei ragazzi con cui sono andato mi dice che e’ meglio stare in piedi perche’ cosi’ e’piu’ facile vedere le ragazze che passano. Aggiunge anche che a lui le ragazze piacciono ma a loro lui non sembra piacere. Deduco che a quindici anni si hanno gli stessi pensieri e le stesse insicurezze a qualsiasi latitudine del globo.

Passano le mie tre settimane di permanenza in cui vado a visitare altri villaggi e quartieri in cui ballano in nome di Durga. Poi arriva il momneto di andare finalmente in Nepal

Ahmedabad

Mi sposto a sud, nel Gujarat, stato che negli ultimi anni è diventato famoso per lo sviluppo economico che ha portato alla vittoria il suo ultimo ministro di stato,Modi, ai danni della nostra compaesana Sonia Gandhi. Date queste premesse mi stupisco assai che alla stazione delle corriere non ci sia un ufficio per il deposito bagagli. Dettaglio che fa la differenza per chi si è deciso a viaggiare con 9kg extra costituiti da una fisarmonica.
Così mi metto alla ricerca di un hotel. I primi sette a cui chiedo una camera mi dicono di essere pieni. La risposta non mi sembra molto convincente sia perchè la qualità degli hotel non mi sembra tale da attrarre frotte di visitatori e sia perchè una volta vistomi i proprietari sembrano cambiare idea. Finalmente all’ottavo tentativo il proprietario mi spiega che siccome Modi è in città per incontrare la sua controparte cinese, Xi Jingpin, ci sono misure aggiuntive di sicurezza. Gli hotel devono richiedere un permesso particolare per ospitare stranieri. Ultimamente la tensione tra Cina e India è salita sia a causa delle zone di confine (molte oltre i 7000m di altitudine) che si contendono da decenni e sia a causa degli incontri diplomatici l’India ha avuto con i “nemici” cinesi (Giappone, Vietnam…).
Forse si sta creando un fronte antagonista all’espansione cinese che vede India, Vietnam,Filippine, Giappone, Corea e gli altri paesi dell’ASEAN più o meno allineati su alcuni fronti. Anelli deboli di questo contingente sono Laos e Cambogia che, a causa degli ingenti investimenti cinesi ( oltre alle numerose persone con origini cinesi), rimangono molto ben disposte verso le politiche di Pechino.

Tornando alla ricerca dell’hotel, per mia fortuna il sistema non è mai perfetto e un hotel a pochi metri di distanza mi accetta come ospite. Mi dice solo di tornare dopo un ora quando la camera (alle 3pm) sarà libera. Non capisco se il ritardo sia dovuto alle pulizie oppure all’occupazione della stanza da parte di una coppia di amanti.
Una volta vista la stanza sono più propenso a pensare all’ipotesi delle pulizie. Un amore, per quanto clandestino, dubito trovi rifugio tra le mura azzurre piene di macchie di questa stanza. Il letto è inserito in una nicchia ricavata tra la parete perimetrale e il bagno. C’è anche una finestra che si affaccia sul retro dell’edificio regalando uno sguardo su tetti in lamiera e sulla moschea. Il bagno segue l’essenzialità asiatica: un metro e venti per 2 metri di lunghezza. C’e’ un rubinetto con un secchiello e la turca che, innovazione del costruttore, è orientata perpendicolarmente alla lunghezza della stanza per cui quando si è accovacciati, come sul muro del pianto, ci si trova con la fronte che praticamente tocca il muro del bagno.

Esco per incontrare amici che conobbi l’anno scorso durante un corso sulla costruzione in terra. Ci troviamo alla facoltà di architettura. Gli edifici sono immersi nel verde con spazi ricreativi, due caffe e molte aree comuni. Nonostante sia oramai ora di cena ci sono moltissimi studenti, alcuni stanno ancora lavorando, alcuni giocano a cricket, alcuni mangiano altri suonano musica. L’impressione generale è molto più positiva di molte università occidentali e viene da chiedersi se la europa non sia già in ritardo su alcuni aspetti della società.

Passo i giorni seguenti a visitare alcuni luoghi di importanza tra cui l’ashram di Gandhi, i vicoli della città vecchia e qualche moschea.
Mi sposto soprattutto a piedi ma questa l’esperienza è assai diversa da quello a cui siamo abituati. Se in molte città europee il camminare per le strade rappresenta una delle attività più piacevoli nel tempo libero, in India diventa una complessa e rischiosa attività psico-motoria. I marciapiedi appaiono e scompaiono tra l’invadenza dei negozi, i veicoli parcheggiati, mendicanti e bande di mucche che, viziate dal rispetto che ricevono, si sentono libere di riposarsi in qualunque luogo. Motociclisti e automobilisti indiani seguono traiettorie diagonoli ed imprevedibili e ci tengono a far sentire la propria presenza usando e abusando i clacson in dotazione nei loro veicoli.
La parte vecchia di Ahmedabad ha tutti gli ingredienti per incontrare il nostro gusto: strade strette e tortuose, molte botteghe e piccoli negozi, un’intensa attività nelle strade e tante mucche che girano indisturbate.

Dopo 3 giorni decido di spostarmi verso Bhuj. Questa volta voglio usare il treno anzichè le corriere. Cosi vado in stazione a comprare un biglietto per la sera stessa in partenza alle 23:59. In stazione quindici minuti prima dell’arrivo del treno chiedendo informazioni su dove arriverà la carrozza 46 scopro che io in mano non ho un biglietto ma una prenotazione non confermata e mi trovo in lista di attesa al numero 26. La persona con cui parlo mi dice che se parlo con il capo treno e aggiungo alle mie parole 200 rupie (circa 3 euro) forse potrò avere un posto. Con un pò di arrabbiatura disdico il biglietto permettendomi anche di suggerire all’addetto alla biglietteria di assumere il ministro dei trasporti cinese, visto che loro sanno gestire molto meglio i grandi numeri.
Passo la mattina del giorno extra a camminare svogliatamente in centro. Poi compro il biglietto delle amate corriere indiane, un pò sgangherate ma sempre affidabili. Poi, forse complice il sole, mi compro un DVD. Purtroppo la scelta sulla bancarella non è molta. Oltre ad una sterminata scelta di film di bollywood ci sono filmacci d’azione di hollywood. Così compro il mio secondo DVD in India(il primo era stato un successo: 135 canzoni Qawwali suonate dai maggiori 35 cantanti indiani e pachistani). Arrivato in albergo mi trovo in mano ben 5 film d’azione tra cui uno con brad pitt, un superman, un paio di zombie e uno di non ben definita natura.
Inizio a guardare il primo. Il film è in realta una ripresa fatta forse in un cinema, non ci sono sottotitoli e il film è doppiato in hindi. Nel giro di 10 minuti ho finito di vedere tutti i 5 film. Cambio idea e passo il pomeriggio a leggere prima di andare a prendere la corriera per Bhuj.

11 Udaipur, la romantica

Arrivo alle 5.30 del mattino. La stazione delle corriere è già sveglia. Alcune persone bevono tè e molte altre dormono per terra, c’è anche un piccolo negozio affitta materassi.
Non avendo molto a fare mi metto a camminare per le stradine del centro. A quest’ora ci sono solo uomini e donne che puliscono le strade e i canali di scolo usando un parafango di bici come uncino. Ci sono mucche e capre che mangiano indisturbate quello che trovano.Gli unici rumori sono dati dai clacson dei tuk-tuk che portano i ragazzini in uniforme a scuola.

Continuo a camminare in attesa che lentamente i negozi inizino ad aprire.
Chiedo una camera in un hotel. Il prezzo mi sembra ragionevole, il proprietario mi mostra la singola “standard”. Negli hotel va di moda l’iperbole, per cui le stanze si dividono in “standard” “deluxe”e “suite”. La standard si rivela essere ricavata dallo spazio rimanente tra due corridoi. Il proprietario mi enuncia i pregi di questa camera: due doppie finestre ( una verso il corridoio del primo piano e l’altra verso un muro a un metro e mezzo di distanza), l’eccellente bagno (con turca, lavandino e doccia pericolosamente vicini). C’è anche la tv ma senza telecomando. Questa mancanza non si fa sentire vista la dimensione ridotta della stanza  che permette di controllare l’apparecchio direttamente dal letto.

Appena firmo, il proprietario mi dice che forse oggi il wi-fi non funziona ma un tecnico ( probabilmente suo figlio) sta per arrivare e sistemare tutto.
Nel frattempo nell’atrio a doppia altezza al piano terreno tre donne e un uomo iniziano a cantare e ad esercitarsi in un discorso. La cosa sarebbe anche piacevole se non fosse fatta con il microfono e se l’architetto non avesse messo così tanta cura nel garantire che il suono potesse viaggiare attraverso aperture, corridoi e finestre dando la possibilità a chiunque si trovi nell’edificio di sentirsi parte della performance.

Spinto da un senso di colpa o da un desiderio punitivo accetto e affitto la stanza. Trovo ci sia qualcosa di affascinante in certi hotel asiatici. A Jaipur il proprietario aveva diviso ogni stanza in tre o quattro anfratti usando partizioni di compensato. In un ognuna di queste micro stanze (ovviamente senza finestre) sembra di stare in una barca. In Cina, a Mutianyu, ricordo di aver dormito in una stanza che aveva una parete in vetro satinato che dava direttamente sulla principale sala da pranzo.

Dopo aver dormito un pò esco a vedere Udaipur. Da turista non molto diligente visito solo uno dei monumenti segnalati: l’ex residenza del Maharaja locale. L’edificio è stato ristrutturato qualche anno fa ma visitandolo viene spontaneo chiedersi se chi li fatti erigere abbia trovato dei successori. In fondo i grandi monumenti hanno un aspetto che spesso non si vuole notare: la forza del sistema di potere che ne ha permesso la costruzione. Gli splendidi templi di Angkor, le cui pietre sono levigate con una precisione millimetrica, forse sono stati possibili sia per la consapevolezza, da parte degli operai, di stare costruendo qualcosa di divino e sia per le conseguenze per la propria persona che una cattiva costruzione avrebbe comportato.Oggi un muratore non potrebbe raggiungere quei livelli.

In serata il desiderio punitivo in me prende il sopravvento così, cercando un luogo con il wi-fi, finisco al Burger Cafè. Lo strano bar occupa un seminterrato che si affaccia sullo stessa strada dell’hotel. Seguendo le tendenze degli anni ’80 tutto o quasi segue il logo: le sedie hanno stampato le iniziali BC sullo schienale, le piastrelle sono degli stessi colori ( giallo e blu) del logo, nel menu un terzo degli  alimenti ha le parole “Burger” e “cafè” nel nome. Scelgo un falafel burger ma il proprietario mi dice che è finito. Allora chiedo un Aloo TIkki Burger (ignorandone i contenuti) ma anche questo non è disponibile. Provo con un chicken burger ma la situazione è la stessa dei due precedenti. La situazione comincia ad essere un pò surreale poi il cameriere/cuoco mi dice che è finito il pane e quindi i panini non sono disponibili ( e questo rende indisponibili 17 pietanze dulle 21 mostrate nel menu). Allora ordino delle patatine fritte e un misterioso miscuglio di coloranti che risponde al nome di Falooda.
Dopo pochi minuti mi viene servito un piatto con 19 patatine e questa Falooda. La bevanda è peggio di quanto mi aspettassi a causa del quantitativo di zuccheri e gelatina e si colloca al secondo posto delle mie peggior bevande di sempre. La prima rimane un frullato di durian e gelatina che gentilmente degli studenti indonesiani mi offrirono anni fa a Yogjakarta.

A questo punto decido di rincasare nel mio loculo con doppia vista sui corridoi.

06 Scendendo dalle montagne

Alla stazione di Leh mi dicono che la strada per Srinagar è chiusa a causa del maltempo. Così devo abbandonare la possibilità di vedere il kashmir e ripiego sull’altra via di uscita cioè verso Manali.
La corriera parte alle 4 del mattino ed è occupata principalmente da lavoratori stagionali nepalesi che vengono a lavorare in estate in Ladakh per poi tornare a casa per il periodo invernale.
Dopo due ore di viaggio un tubo della pressione si rompe e così ci fermiamo di fronte a uno dei numerosi campi militari che occupano l’area. Ci vuole un ora per rattoppare il guasto usando materiali di scarto. La riparazione non dura che pochi tornanti e così ci dobbiamo fermare di nuovo.
Sulla strada ci sono molti coloratissimi camion che trasportano un pò di tutto. Visto il nostro guasto si fermano e cercano di aiutarci. Tra i passeggeri c’è anche un militare in libera uscita che sembra essere quello con più abilità manuali. Per riparare il tubo viene invocato l’uso di un preservativo. Così il militare lo chiede agli autisti di taxi che stanno tornando verso Leh. Il militare ottiene subito quello che cerca al primo tentativo. Forse il Ladakh non è poi così tradizionalista come si crede.
Ripartiamo. La strada si snoda per oltre duecento kilometri tra montagne e nuvole. In molti tratti è ancora sterrata.
Oltre a noi e ai camion ci sono molti taxi privati e gruppi di motociclisti in fuga dalle strade trafficate dell’india. Ci vogliono 17 ore per raggiungere Keylong. Nonostante la durata il viaggio è pieno di eventi.Per due volte dobbiamo scendere dalla corriera per rimuovere dei sassi caduti sulla strada. In un tratto i massi stanno ancora franando e l’autista, cercando di passare velocemente questo inconveniente fora una gomma. A keylong abbiamo solo 5 ore di attesa prima del prossimo autobus. Le passiamo guardando un match di cricket tra india ed inghilterra ( che gli inglesi, per una volta, vincono) e dormendo sulle panchine dellla stazione.
Nuovo giorno, nuovo bus, stessa pioggia. Sono in Himachal Pradesh ora e le montagne sono verdissime.
Abbiamo un nuovo autista sembra avere la calma di un barbiere.Purtroppo nel pomeriggio la corriera si guasta creando più di un’ora di ritardo. A questo punto il barbiere/autista mostra una sua seconda personalità e fa di tutto per recuperare il ritardo accumulato: sfiora anziane signore che passeggiano lungo la strada, percorre un cavalcavia in contro mano, sfiore molte delle mucche che riposano sulla strada e quasi lascia alcuni passeggeri alla stazione di servizio.
Per fortuna, essendo la corriera il mezzo più grosso presente sulla strada, il traffico si apre davanti all’incedere furioso del nostro mezzo.
In serata arriviamo a Chandigarh nel settore 43. Intorno alla stazione non sembra esserci quasi nulla così decido di stare nel dormitorio della stazione.

08 Jaipur la città degli incontri.

Dopo 11 ore di autobus che passo dormendo sul sedile reclinabile n24 della corriera semideluxe della Rajastan trasporti arrivo a Jaipur. Il realtà il mio biglietto era per il sedile 15 ma una ragazza indiana all’inizio del viaggio mi chiede di cambiare posto perchè non si sente a suo agio di fianco al passengero del sedile 25: un uomo con baffo e cappellino sui 30 anni, in effetti con una faccia da maniaco introverso.

A Jaipur appena sceso dalla corriera vengo subito ricevuto dai tassisti di tuk tuk locali. E’ qui che conosco Khan. Nei 50 metri che separano la corriera dall’ufficio deposito bagagli riesce a dirmi tutti i nomi e le distanze delle 15 attrazioni principali di Jaipur, che dovrei prima fare la colazione, che in effetti sulla strada ci sono diverse bancarelle e che lui fa dei prezzi locali e non da turisti.
Io provo a spiegare a Khan che se viaggio da solo è perchè mi fa piacere avere tempo di pensare per conto mio e che le 7.05 del mattino sono un momento ideale per stare in silenzio.
Khn è ostinato più degli altri e non mi lascia solo fino all’uscita della stazione ma in qualche modo riesco a convincerlo del fatto che non prenderò nessun tuk-tuk poichè andrò a piedi e se per caso necessitassi di un mezzo di trasporto a motore lui avrebbe l’esclusiva. Ho notato che un modo per concludere questo tipo di situazioni sta nel proporre di bersi un bicchiere di té. Così faccio.
Nonostante la piccola dose di tè che ci viene servita, Khan riesce a coinvolgermi in una conversazione per più di mezzora. La dinamica e i temi seguono lo svolgimento classico delle conversazioni che sto avendo qui: luogo di provenienza, una volta saputo si fa riferimento a Sonia Gandhi che è la burattinaia dell’ex partito di maggioranza. Poi c’è la sezione turistico-filosofica con le classiche domande “da dove arrivi?” “Dove stai andando?” ” E’ la prima volta che vieni in India?”. Di solito si passa poi al personale e Khan mi chiede se sono sposato e se almeno ho una fidanzata. Stranamente lui mi dice di non essere sposato e di avere molte fidanzate e l’ultima, una israeliana, lo vuole anche sposare.

Questo stile di vita “sregolato” (almeno per i canoni indiani) se lo può permettere perchè tutta la sua famiglia si trova nel sud dell’India, dove anche lui è nato, e quindi non può sapere delle sue sregolatezze.Comunque l’anno prossimo Khan vuole sposarsi e ritornare nel suo paese nativo mettendo la testa a posto.

Ho notato che se una conversazione con un uomo indiano dura più di qualche minuto verrà sicuramente indirizzata sul Grande Tabù: il s***o. Kanh non è diverso e quindi accenna, senza dettagli per fortuna, alle doti amorose dell’israeliana e delle presunte altre fidanzate straniere.
A quel punto, visto anche che il mio tè è finito da tempo e che ora sono uniti alla conversazione anche due poliziotti che andranno a fare il servizio sicurezza ad una manifestazione indetta dagli avvocati (?!? solo in india gli avvocati fanno manifestazioni in strada), riesco a liberarmi di Khan e a procedere verso il centro cittadino.

Sono ad un negozio di telefoni cercando di cambiare la scheda che ho comprato in Jammu-Kashmir e, ho scoperto in seguito, essere valida solo in quello stato. Dopo un qualche minuto arriva Khrisna. La classica conversazione inizia: mi chiede di-dove-sono-da-dove-sto-arrivando-dove-sto-andando. Quando mi aspetto il resto delle domande Khrisna mi dice che suo cugino vive da anni in Italia e che vuole farmi vedere le sue foto. Andiamo a pochi metri di distanza nel suo negozio-stanza che misura non più di 6 m2. Khrisna allora segue il copione del venditore: prima parla di suo cugino facendomi vedere le sue foto davanti a diversi spigoli di palazzi di città italiane. Forse per la prima volta capisco il senso di quelle strane foto che molta gente fa in cui ci si mette in posa davanti a case, palazzi, angoli, entrate…serviranno poi come testimonianza del raggiungimento di luoghi anomali ed esotici. La prova di queste avventure sarà data dalla presenza del corrimano di una metro, dall’intarsio di una facciata, dai diversi vestiti portati dal soggetto della foto.
Dopo questa divagazione, Khrisna parte con un timido attacco: comincia a parlare di sè e del suo essere pittore. Mi fa allora vedere le miniature del Rajastan (che mi stanno seguendo dalle valli del Ladakh). Aggiunge che il primo cliente della giornata è quello che determinerà l’esito lavorativo fino al giorno dopo deduco quindi di non essere un semplice cliente ma colui che può modificare i flussi di energia positiva intorno a me.
Non mostro intenzione verso l’acquisto non perchè le miniature non siano belle ma perchè dopo 3 giorni di corriera la mia mente non è verso l’espressione artistica dell’uomo ma verso pensieri molto più basilari come trovare qualcosa da mangiare e un posto per dormire. Khrisna si irrigidisce un poco e, mentre sto uscendo, mi dice almeno di fare un offerta a Ganesh. Dalla tasta tiro fuori 50 rupie ed esco.

Cammino per la “città rosa” che tanto rosa non lo è più, cercando un telefono. Ne vedo uno in un garage e chiedo di poterlo usare. Un signore mi offre il suo cellulare e alla fine della telefonata non vuole ricevere nessun compenso. Allora gli propongo di bere del tè. Mi fa strada fino ad una casa-tempio a pochi metri di distanza. Il tempio si trova al piano terra della casa. Consiste in una stanza con pavimento in marmo e muri pistrellati fino a 1.2m di altezza. In fondo alla stanza l’altare dedicato a Ganesh è rivestito da specchi tagliati in forma romboidale. Noto una certa somiglianza con i dettagli costruttivi usati da Anthony, un costruttore franco-cino-laotiano con cui ho lavorato a Phnom Penh, negli interni di dubbiosi night club.

Rakashtan mi racconta di essere pittore, musicista, di aver venduto gemme fino a quando i Don locali non gli hanno impedito di farloe di aver fatto molte altre cose. Parla italiano bene visto che amici calabresi sono venuti a trovarlo per anni.Tutto gli è stato possibile grazie al suo atteggiamento positivo e a Ganesh. E’ interessante sentire parlare questi Hindu poichè parlano della religione come di qualcosa che permane le loro vite quotidianamente. Come fosse l’aria che respirano. I rituali, le preghiere servono a mettersi in sintonia con questa aria/energia che sta intorno a noi.

Nella stanza ci sono altre 4-5 persone. Un ex poliziotto vestito di bianco, un paio di persone più giovani di non ben definito ruolo e un ex militare che viene presentato come esperto di lanciarazzi ma che ora fa l’autista per il pulmino di un asilo.
Durante il racconto di Rakashtan e per tutta la mia permanenza nel tempio il gruppetto continua a fumare chilum. Mi dicono che due membri della compagnia sono musicisti così si esibiscono suonando l’armonium e la tabla. Il gruppetto di fumatori si unisce nei cori. La musica che suonano è interessante perchè segue una sequenza ma ci sono ampi margini di movimento. Dopo alcune canzoni e qualche bicchiere di tè decido di salutare e uscire a visitare la città-rosa-che-tanto-rosa-non-è.

02 A casa del re di Padum.

In Zanskar, come in quasi ogni altra parte del mondo, l’aristocrazia è in crisi e il re di Padum non fa eccezione. E’ un uomo di bassa statura, età avanzata ma difficile da individuare anche per il fatto che il clima locale fa invecchiare la pelle molto velocemente cosi i Ladakhi sono i primi asiatici che incontro che sembrano più vecchi di noi occidnetali. Il re di Padum passa quasi tutto il giorno a pregare ogni tanto si concede una pausa e porta a spasso lo yak, compito che probabilmente non gli spetterebbe ma siccome quasi tutti in paese sono al Kalachakra egli deve compiere.

Sempre a causa del Kalachakra una persona esterna viene a cucinare e a compiere le faccende domestiche: “Sonam il grosso”. Il soprannome è dovuto non tanto alla sua mole fisica che ben si sposa con l’immagine del contadino grassottello e grossolano, bonaccione e dai principi etici pragmatici ma bensì al fatto che in Ladakh i nomi delle persone si ripetono spesso. Così, scoprirò in seguito, Zangla ha 5 “Sonam” numero che permetterebbe la creazione di una squadra di calcetto per sfidare la selezione ungherese.
Sonam ci cucina ogni sera riso con verdure e lo serve in abbondanti porzioni che creano non pochi problemi digestivi. Oltre alla cucina si occupa anche di innaffiare il giardino ma lo fa con fatica visto il numero di mansioni che deve compiere così dopo un paio di giorni mi offro come giardiniere. in quei giorni che precedono l’arrivo del resto della famiglia sono giardiniere reale del re di Padum, esperienza che spero in futuro possa aprirmi nuove opportunità.

Dopo una decina di giorni il resto della famiglia arriva da Leh insieme ad un altro gruppo di volontari che già era venuto l’anno prima e che conosce la famiglia così devo spostarmi in un altra casa.

03 Ho incontrato Dorjie Gyalpo

Il primo incontro avvenne quando ancora mi trovavo a casa del re di Padum e mi ero lasciato convincere da Sonam il grosso a comprare una bottiglia di whiskey e di berla insieme a lui. Quella sera in un angolo della sala improvvisamente apparve un omino silenzioso con un cappello di lana in testa. Non parlava molto e sorrideva e ogni volta che gli veniva offerto da bere accettava ben volentieri.

Incontro per la seconda volta Dorjie Gyalpo nella seconda casa in cui vengo ospitato poichè è la sua.
Inoltre quando vengo assegnato come aiutante del posatore di mattoni scopro che è lui che sto aiutando.
Scoprirò in seguito che Dorjie non è solo muratore, bevitore, carpentiere ma anche dottore/veterinario locale, cerimoniere e messaggero per le proposte di matrimonio.

In un paio di occasioni, dopo aver cenato Dorjie si è messo l’abito locale, ha preso una tazzina di argento ed è uscito per raggiungere qualche compagnia locale e bere “chang” una specie di birra locale che imparerò a conoscere in un paio di occasioni. Il giorno seguente queste uscite Dorjie non ha mai lavorato, spesso non si è nemmeno visto e credo abbia passato tutto il tempo a dormire nella stanza/nicchia ricavata in un angolo della casa.

Per ultimare il tetto della scuola siamo dovuti andare a raccogliere degli arbusti che crescono in montagna. I rami saranno poi tagliati per formare il bordo del tetto.
Ovviamente chi si è offerto come volontario per andarli a raccogliere è stato Dorjie così, immaginandomi qualcosa di interessante, mi sono proposto come accompagnatore. Dopo il lavoro insieme a due asini mi incammino insieme a Dorjie verso la doksa che dista 6km da Zangla. Le doksa sono i luoghi dove le anziane del villaggio tengono il bestiame durante l’estate. Si trovano fuori dai paesi e vicino a zone erbose dove poter lasciar pascolare gli animali. Alla Doksa ci aspetta la moglie di Dorjie di cui non ho mai imparato il nome perchè ho sempre chiamato “Abbi” (nonna). Nei due mesi trascorsi in Ladakh ho imparato che le Abbi sono quasi una specie umana diversa da tutto il resto. Vestite ancora con abiti tradizionali ( a parte le calzature che sembrano le prima a cedere davanti agli abiti moderni), ciondoli, cappelli di lana, orecchini, anelli. Le Abbi sembrano allo stesso tempo sciamane e personaggi di blade runner e sono sempre al lavoro: trasportando gerle, facendo pascolare il bestiame, producendo burro o yogurt, raccogliendo verdure. Non le ho mai viste mangiare e a volte penso siano creature geneticamente modificate.

Il mattino seguente partiamo, questa volta con 4 asini, verso una piccola valle. Passiamo la giornata a tagliare arbusti finchè due asini decidono che la loro giornata lavorativa sta per finire e iniziano a correre giù dal sentiero. Li inseguo fino a quando vengono fermati da un cancello appositamente costruito per limitare gli spostamenti degli animali al pascolo. Con non poca difficoltà riesco a farli risalire. Finiamo la giornata tagliando arbusti che vengono poi caricati sugli asini le cui resistenze vengono facilmente soppresse da un paio di calci e sassi lanciati da Dorjie.
Dopo quel giorno Dorjie non è più venuto al lavoro. La ragione, scoprirò qualche giorno più tardi, sta nel fatto di aver ricevuto un lauto conpenso per il suo lavoro e quindi nel aver deciso che la stagione lavorativa poteva anche finire lì.

05 Il ritorno

Essendo il ricordo di quelle 12 ore di taxi con salti e musica techno ancora vivo nella mia mente, decido di ritornare a Leh camminando. Per alcuni giorni medito di portar con me anche la fisarmonica (che mi ha seguito fino a Zangla) con i suoi 9kg. Mi intriga l’idea di essere probabilmente il primo a portare una fisarmonica sopra i 5000m. Dopo qualche giorno di fantasticherie abbandono l’idea e la affido agli ungheresi che stanno tornando in taxi.

Cammino per 7 giorni tra valli e passi e dormendo nei vari villaggi che incontro lungo il cammino. Questa parte del Ladakh è molto frequentata dagli escursionisti così almeno due volte al giorno incrocio piccole carovane di viaggiatori. Da queste parti è usanza sia per i locali che per gli stranieri viaggiare con asini o cavalli per portare il bagaglio così in taluni casi, forse immaginandosi antichi esploratori, si vedono vere e proprie carovane di 8-10 asini salire per i sentieri: sulle loro groppe ci sono cucine intere, tende, tavolini, cibo a volontà, birra e chissà cos’altro.

I sentieri sono molto facili se paragonati a certi che si trovano sulle alpi. La ragione credo sia dovuta soprattutto al fatto che queste sono le vie che i locali usano per muoversi tra i villaggi per il trasporto di beni e per il bestiame. A volte si incontrano asini o persone che trasportano porte o finestre intere: a causa della mancanza di vegetazione quasi tutto il legname arriva dal kashmir e quindi anche i prodotti di carpenteria.

La grossa differenza tra i villaggi che si trovano lungo il cammino sta nel fatto che si connessi o no alla rete stradale indiana. Se c’è una strada allora il villaggio è stato raggiunto dal “Globo”, dai suoi costumi e usi, dalle bibite in bottiglia, dalle patatine in busta. La gente ha anche un idea più chiara di cosa ci sia al di là delle montagne. I villaggi non ancora raggiunti vivono ancora nelle loro abitudini dove ogni elemento fa parte di un ciclo: lo sterco degli animali viene seccato e usato come combustibile, i rami secchi utilizzati nella costruzione dei tetti…

Gli abitanti di questa “modernità polverosa” fanno ancora tutto a mano, hanno elettricità alcune ore al giorno grazie ai pannelli solari installati sui tetti delle case, sono autonomi ottenendo quasi tutto il cibo dai campi e dagli animali che allevano. Quanto sono destinati a durare? Quanto tempo prima che le loro case si riempiano di tv così invece di andare alla sera da una casa all’altra e conversare, staranno seduti in uno stato di trance a guardare soap opera? Quanto tempo prima che i loro figli chiedano di andare a vivere in una città  perchè li ci sono tutte quelle cose di cui hanno sentito parlare e che loro vorrebbero? Quanto tempo prima che i fiumi e le terre si riempiano degli scarti della vita moderna? Loro, come altre comunità nel mondo, non hanno scelta e devono obbligatoriamente entrare a far parte del Globo.

01 Verso Zangla.

Come prima tappa di questo periodo sabbatico decido di unirmi ad un gruppo di ungheresi che sta costruendo una scuola a Zangla, nella valle dello Zanskar, nel nord dell’India.

Per arrivarci volo fino a Leh ma ci arrivo nei giorni in cui c’e’ il Kalachakra, più o meno un equivalente del giubileo per la religione buddista per cui quasi tutti gli autobus sono destinati ai pellegrini.
Dopo un giorno di ricerca trovo un autobus per kargil che parte dal campo di polo. Agli occhi occidentali il veicolo genera una certa preoccupazione, sul fronte c’è una grande scritta “Allah is great”. Spero che anche l’autista lo sia.

A Kargil devo affrontare una delle prove più difficili per un viaggiatore: la contrattazione con gli autisti locali. L’autista è un personaggio particolare, spesso viene da un piccolo paese ma, rinnegando la tradizione, vuole connettersi alla modernità. Un veicolo qualsiasi offre questa opportunità. Così inizia ad espandere il proprio mondo e viene a contatto con i viaggiatori stranieri. Capisce ben presto che quest’ultimi possono essere fonte di facile guadagno. Impara a distinguerli, a capire chi ha più voglia di spendere, a capire i loro gusti. Tutte questi contatti generano nell’autista una certa ambizione soprattutto nel raggiungimento di uno status economico quindi la contrattazione non è mai semplice.

Dopo vari tentativi riesco a trovare, a mezzanotte, un autista che mi passa ad un altro che ha ancora un posto libero in auto. Il prezzo è la metà di quello richiesto alle 4 del pomeriggio.

Da Kargil a Padum ci sono 240km di strada sterrata e circa 120.000 buche e cunette. Oltre al continuo movimento a cui siamo sottoposti c’è anche l’insidia acustica creata dall’impianto stereo. L’autista, come spesso accade nei piccoli paesi, deve essere entrato in possesso di un paio di CD copiati da una copia di una copia di una playlist di musica hindi/techno. Come spesso accade, l’autista si è subito appassionato ad una canzone ed ha deciso di condividerla con noi per i primi 50km.

La strada segue la valle dello Zanskar. Ogni tanti ci sono villaggi formati da 10-15 case. E’ difficile da immaginare un luogo del genere perchè in Europa non abbiamo territori cosi vasti e cosi poco popolati. Inoltre la valle è ampia e accogliente ma si trova a 3500m di altitudine. Sulle alpi ci troveremmo già su qualche cima innevata.

L’ultima tratto da compiere è quello tra Padum e Zangla. 35km di strada asfaltata che i tassisti locali sono ben felici di fare se si noleggia l’intero taxi per 2000 rupie (25€). Fortunatamente gli ungheresi mi avevano scritto che un certo Lobzen, proprietario della pasticceria Himalaya è di Zangla e quasi tutti  i giorni visita Padum. Così il giorno dopo arrivo a Zangla, in fondo alla valle dello Zanskar.
Il gruppo di ungheresi mi riceve e mi dice che sarò ospitato nella dimora del re di Padum.