P… come Parise come povertà

Questo articolo apparve il 30 giugno 1974. Alla faccia di tutti queeli che credono in uno sviluppo. Più di 40 anni dopo è ancora attuale e affilato.

«Questa volta non risponderò ad personam, parlerò a tutti, in particolare però a quei lettori che mi hanno aspramente rimproverato due mie frasi: «I poveri hanno sempre ragione», scritta alcuni mesi fa, e quest’altra: «il rimedio è la povertà. Tornare indietro? Sì, tornare indietro», scritta nel mio ultimo articolo.

 

Per la prima volta hanno scritto che sono “un comunista”, per la seconda alcuni lettori di sinistra mi accusano di fare il gioco dei ricchi e se la prendono con me per il mio odio per i consumi. Dicono che anche le classi meno abbienti hanno il diritto di “consumare”.

 

Lettori, chiamiamoli così, di destra, usano la seguente logica: senza consumi non c’è produzione, senza produzione disoccupazione e disastro economico. Da una parte e dall’altra, per ragioni demagogiche o pseudo-economiche, tutti sono d’accordo nel dire che il consumo è benessere, e io rispondo loro con il titolo di questo articolo.

 

Il nostro paese si è abituato a credere di essere (non ad essere) troppo ricco. A tutti i livelli sociali, perché i consumi e gli sprechi livellano e le distinzioni sociali scompaiono, e così il senso più profondo e storico di “classe”. Noi non consumiamo soltanto, in modo ossessivo: noi ci comportiamo come degli affamati nevrotici che si gettano sul cibo (i consumi) in modo nauseante. Lo spettacolo dei ristoranti di massa (specie in provincia) è insopportabile. La quantità di cibo è enorme, altro che aumenti dei prezzi. La nostra “ideologia” nazionale, specialmente nel Nord, è fatta di capannoni pieni di gente che si getta sul cibo. La crisi? Dove si vede la crisi? Le botteghe di stracci (abbigliamento) rigurgitano, se la benzina aumentasse fino a mille lire tutti la comprerebbero ugualmente. Si farebbero scioperi per poter pagare la benzina. Tutti i nostri ideali sembrano concentrati nell’acquisto insensato di oggetti e di cibo. Si parla già di accaparrare cibo e vestiti. Questo è oggi la nostra ideologia. E ora veniamo alla povertà.”

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https://www.youtube.com/watch?v=EqK7ShjBCQw

Noi che guardiamo le forme di un possibile paradiso senza vederne le ombre.
Crediamo che una fuga sia possibile solo per alcuni momenti. Ancora increduli di poter provare, almeno per una volta, un senso di vertigine dell’esistenza.

Rivoluzioni

“Il vero momento rivoluzionario di tutta la Terra non è in Cina, non è in Russia: è in America. Mi spiego? Vai a Mosca, vai a Praga, vai a Budapest, e avverti che la rivoluzione è fallita: il socialismo ha messo al potere una classe di dirigenti e l’operaio non è padrone del proprio destino. Vai in Francia, in Italia, e ti accorgi che il comunista europeo è un uomo vuoto. Vieni in America e scopri la sinistra più bella che un marxista, oggi, possa scoprire. Ho conosciuto i giovani dello Sncc [Student Non-violent Coordinating Committee, ndc], sai gli studenti che vanno nel sud a organizzare i negri. Fanno venire in mente i primi cristiani, v’è in loro la stessa assolutezza per cui Cristo diceva al giovane ricco: “Per venire con me devi abbandonar tutto, chi ama il padre e la madre odia me”. Non sono comunisti né anticomunisti, sono mistici della democrazia: la loro rivoluzione consiste nel portare la democrazia alle estreme e quasi folli conseguenze.”

Fallaci intervista Pier Paolo Pasolini | Tempi.it 1966

Provincialism

I read on an interesting web magazine The Tomorrow:

In 1944, T.S. Eliot wrote[1]

“In our age, when men seem more than ever prone to confuse wisdom with knowledge, and knowledge with information, and to try to solve problems of life in terms of engineering, there is coming into existence a new kind of provincialism which perhaps deserves a new name. It is the provincialism, not of space, but of time; one for which history is merely the chronicle of human devices which have served their turn and been scrapped, one for which the world is the property solely of the living, a property in which the dead hold no shares. The menace of this kind of provincialism is, that we can all, all the peoples on the globe, be provincials together; and those who are not content to be provincials can only be hermits.”